201606.21
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Con questi articoli ci proponiamo di mantenere aggiornati i nostri clienti sugli sviluppi nel settore della Proprietà Industriale in generale e della nostra struttura in particolare. Desideriamo garantire in questo modo una visione più ampia degli strumenti che il campo dei marchi, nomi a dominio, brevetti, disegni e diritti connessi offre agli imprenditori, per valorizzare e difendere il loro impegno nella ricerca e sviluppo di nuove soluzioni e idee.



Chi si accinge a depositare un marchio, non sempre è consapevole del fatto che, un certo gradiente di capacità distintiva è necessario affinché il segno sia effettivamente registrabile (spesso si assiste, infatti, alla richiesta di depositare segni fortemente descrittivi e poco individualizzanti). Ancor più rara è la percezione della forza distintiva del segno prescelto e della sua potenziale capacità di impedire a terzi di avvalersi di segni simili.

In un certo senso, il gradiente di distintività può, infatti, essere misurato in base ad una scala che muove dal “marchio descrittivo” totalmente privo di capacità distintiva e non idoneo alla registrazione (si pensi, ad esempio, alla parola “auto” scelta per contraddistinguere un’automobile), fino al gradino più alto del c.d. “marchio rinomato” (si pensi a “Nike”). Nel mezzo si collocano poi i “marchi deboli” e i “marchi forti”.

Alcune recenti decisioni possono aiutare a cogliere il senso di queste espressioni.

Come accennato poc’anzi, sul gradino più basso della scala della distintività si collocano i segni del tutto incapaci di individuare una specifica fonte di origine dei prodotti o servizi che tali segni dovrebbero essere chiamati a identificare. La mancanza di capacità distintiva si qualifica, infatti, quale “impedimento assoluto” alla registrazione. Si tratta, quindi, di marchi che, in realtà, non possono nemmeno essere definiti tali.

Una recente decisione dell’EUIPO (European Union Intellectual Property Office) relativa al marchio dell’Unione europea “O Bag” può aiutare a meglio comprendere le implicanze giuridiche di una scelta non ottimale in termini di distintività.

Il marchio “O Bag” è stato, infatti, depositato nelle classi 9 e 35 per prodotti appartenenti alla categoria “custodie” e servizi riconducibili, genericamente, alla “vendita di borse e custodie”[1]. Il deposito è stato tuttavia rifiutato dall’esaminatore e il rifiuto è stato altresì confermato dalla Commissione Ricorsi con decisione del 10/5/2016 R947/2015-5.

L’EUIPO ha pertanto ritenuto il termine “O Bag” meramente descrittivo della categoria di prodotti e servizi riconducibili al concetto di “contenitore”.

La Commissione ha anche specificato che la parte figurativa del marchio o meglio, il carattere tipografico utilizzato per l’espressione “O Bag” non sarebbe idoneo a “conferire carattere distintivo al lemma ‘bag’ poiché (…) è quasi standard e il mero uso del corsivo non può ritenersi sufficiente a dotare la componente ‘bag’ di un particolare impatto visivo”.

Appare quindi evidente che, nella nostra scala immaginaria, il primo gradino che i marchi devono salire per essere validamente registrabili è quello destinato al “marchio debole”, ovvero, quella tipologia di segno dotato di una certa capacità distintiva, seppur minima.

In questo senso, un caso recentemente deciso dalla Cassazione (17/5/2016 n. 10078) consente di fornire un esempio di “marchio debole”. In questo caso i marchi sottoposti all’esame dei giudici erano “Lovable Mimesis” e “Mimetic Papillion”.

Il primo è stato ritenuto debole poiché la locuzione “Mimesis” è, ad avviso della Cassazione, meramente evocativa delle caratteristiche del prodotto costituito da capi aderenti alla pelle e invisibili sotto gli abiti.

In poche parole, l’elemento individualizzante del marchio è, secondo i giudici, rappresentato dalla parola “Lovable”, anch’essa parte del marchio complesso “Lovable Mimesis”. Il fatto che il marchio successivo “Mimetic Papillion” (anch’esso complesso) fosse costituito dalla parola “Papillion” ritenuta dalla Cassazione individualizzante (poiché non concettualmente legata al prodotto), ha consentito ai giudici di escludere la confodibilità con il segno “Lovable Mimesis”.

La Cassazione ha inoltre osservato che il segno “Mimesis” (così come la parola Mimetic”) é parte debole del marchio complesso “Lovable Mimesis. Per questo motivo, anche una lieve differenziazione sarebbe sufficiente per escludere la confusione. Nel caso di specie, come già anticipato, le differenze contenute nell’espressione “Mimetic Papillion” sono quindi state ritenute sufficienti per escludere l’illecito.

Come intuibile dalla decisione appena commentata, il gradino successivo nella nostra scala immaginaria della distintività è pertanto occupato dai “marchi forti” (come “Lovable” e “Papillion”), ovvero da quella tipologia di segni non concettualmente legati ai prodotti o servizi rivendicati e tutelabili anche rispetto ai segni che presentino lievi differenze.

Rimane quindi da chiedersi quale sia tipologia di marchi capaci di accedere all’Olimpo, ovvero il gradino più altro della nostra scala.

Questo posto è riservato a pochissimi marchi definiti “rinomati” o “celebri”. Si tratta di una categoria di segni non assimilabili a quelli precedenti perché godono di una tutela rafforzata che si estende nei confronti di segni di terzi successivi utilizzati per contraddistinguere prodotti o servizi non solo affini, ma anche merceologicamente distanti (c.d. tutela ultramerceologica). Per esempio, si pensi alla tutela di cui può godere un marchio come Cola Cola che può essere azionato non solo nei confronti di chi faccia uso di segni simili per contraddistingue bevande, ma è altresì azionabile nei confronti di usi per prodotti molto diversi, ad esempio uno shampoo.

Il legislatore ha, infatti, messo a disposizione dei titolari di marchi rinomati uno strumento che non si limita a preservare il segno dal mero rischio di confusione, ma si spinge ben oltre poiché diretto a tutelare gli investimenti effettuati in termini pubblicitari e di comunicazione.

Anche in questo caso possiamo far capo a una recente decisione del Tribunale di Firenze che ha affrontato il tema (Trib. Firenze 26/4/2016 n. 1607) dovendo decidere, tra le altre cose, se il marchio “Solaia” appartenente a una società attiva nel settore vinicolo potesse rientrare nella categoria dei marchi rinomati e quindi accedere alla tutela ultramerceologica. Il Tribunale ha tuttavia negato questa tutela poiché le prove fornite dal titolare (uso prolungato nel tempo, nome segnalato nelle pubblicazioni di settore, fatturato, ecc…) non sono state ritenute sufficienti. D’altronde si tratta di una tutela riservata a pochissimi marchi (si pensi a Coca Cola o Nike) che spesso sono utilizzati da terzi al solo fine di trarne indebito vantaggio o comunque con modalità tali da pregiudicarne la reputazione.

In conclusione, è evidente chi si accinge a depositare un marchio, dovrebbe sempre porsi come obiettivo quello di adottare un segno che possa aspirare a collocarsi sul gradino più altro o, quantomeno, sul penultimo.

[1] L’elenco dei prodotti e servizi effettivamente rivendicati comprendeva:

Classe 9: Custodie per fotocamere; Custodie per DVD; Custodie per telefoni cellulari; Custodie per computer; Borse per lo sport adatte [sagomate] a contenere caschi protettivi; custodie per tablet; custodie per telefoni cellulari; custodie per computer portatili.

Classe 35: Servizi di vendita all'ingrosso, servizi di vendita al dettaglio e servizi di vendita via siti web di articoli di pelletteria, borse e loro parti, cartelle, portadocumenti, portafogli, portamonete, zaini, sacchi, astucci per chiavi, portachiavi, bauli, valigie, custodie per tablet, custodie per telefoni cellulari, custodie per computer portatili.