201702.28
0
Print Friendly, PDF & Email

Con questi articoli ci proponiamo di mantenere aggiornati i nostri clienti sugli sviluppi nel settore della Proprietà Industriale in generale e della nostra struttura in particolare. Desideriamo garantire in questo modo una visione più ampia degli strumenti che il campo dei marchi, nomi a dominio, brevetti, disegni e diritti connessi offre agli imprenditori, per valorizzare e difendere il loro impegno nella ricerca e sviluppo di nuove soluzioni e idee.



Chi si accinge a depositare un marchio spesso è in dubbio sulla scelta dei prodotti o servizi da rivendicare. Il dubbio aumenta quando si apprende che le classi merceologiche cui far riferimento sono piuttosto numerose e che i costi per il deposito (e le correlate ricerche di anteriorità) aumentano con l’aumentare delle classi scelte per depositare il proprio marchio. Ciò vale soprattutto per chi si accinge a sviluppare una nuova attività e non ha ancora un’idea precisa di come la stessa potrà evolvere. Conviene quindi depositare il proprio marchio in più classi, eventualmente anche per prodotti o servizi diversi da quelli individuati come “primari” per il lancio del proprio business, oppure limitarsi a circoscrivere il deposito “all’essenziale”?

Come facilmente intuibile, una risposta univoca per tutti i casi non esiste poiché i fattori di cui l’aspirante titolare dovrà tener conto sono molteplici. Tra questi, uno di cui tener conto scaturisce da una recente sentenza della Corte di Giustizia e può costituire un utile strumento orientativo per chi si accinge a depositare un nuovo marchio.

Anticipando ciò che si andrà ad approfondire nelle prossime righe, la Corte ha previsto che il titolare di un deposito di marchio europeo per contestare il deposito di un marchio successivo simile o identico da parte di un terzo non dovrà preoccuparsi di fornire prove in merito all’uso del proprio segno affinché venga riscontrato l’illecito da parte del terzo.

Ciò significa che, senza essere obbligato a fornire prova di uso effettivo del marchio, il titolare avrà un certo lasso di tempo per sviluppare il proprio business, individuare eventuali aree in cui espandere la propria attività (e al tempo stesso difendersi dal deposito o dall’uso da parte di terzi di marchi simili).

Potrebbe per esempio accadere che un piccolo imprenditore che si accinga a depositare un marchio per lanciare una linea di profumi, si trovi, dopo un paio di anni dalla registrazione, nella condizione di poter espandere il proprio business nel settore dell’abbigliamento e magari anche a settori non strettamente affini a quello dei profumi. In tal caso, il deposito avvenuto a suo tempo per più classi di prodotti e servizi si rivelerà un utile strumento: un deterrente per “tenere lontani” potenziali concorrenti anche rispetto alle aree di business inizialmente non contemplate (nel nostro esempio, il campo dell’abbigliamento).

Ma torniamo al caso esaminato dalla Corte di Giustizia. La vicenda ha visto contrapposte, da un lato, un’impresa attiva nel settore bancario/assicurativo e titolare di un marchio europeo figurativo per le classi 36 e 37 (“società A”) e, dall’altro lato, una società dedita alla produzione e montaggio di case di legno (“società B”) titolare di un marchio figurativo per la classe 19.[1]

La società A, dopo aver vinto il primo grado contro la società B vedeva la sentenza ribaltata in sede di appello. Il giudice di seconde cure ritenne infatti che i marchi fossero sì simili, ma che ai fini del giudizio si dovesse tener conto non della loro registrazione formale ma, piuttosto, del modo in cui gli stessi fossero utilizzati nelle attività realmente intraprese dalle parti e che, per questa ragione, non vi fosse nel caso di specie alcun rischio di confusione.

La Corte di Giustizia (sentenza del 21/12/2016 , C- 654/15), al contrario, ha stabilito che le norme che regolano il deposito e l’uso del marchio europeo devono essere interpretate nel senso che “nel corso del periodo di cinque anni che segue la registrazione di un Marchio Europeo, il suo titolare può, in caso di rischio di confusione, vietare ai terzi di usare nel commercio un segno identico o simile al suo marchio per tutti i prodotti o servizi identici o simili a quelli per i quali tale marchio è stato registrato, senza dover dimostrare un uso effettivo di detto marchio per tali prodotti o tali servizi”.

Tenendo conto di questo orientamento, chi si appresta a depositare un marchio, qualora in dubbio tra la scelta di limitare il proprio deposito di marchio ai prodotti o servizi di certa e immediata commercializzazione, oppure quella di allargare il deposito a più classi in vista di una possibile espansione futura del proprio business, avrà una ragione in più per optare per la seconda. Secondo questo orientamento, durante i primi cinque anni dalla registrazione del marchio, i marchi di terzi potenzialmente confondibili con il proprio potranno essere “attaccati” senza la preoccupazione di dover dimostrare l’uso effettivo del segno per vedere riconosciuta la confondibilità.

[1] In particolare, la società A risultava titolare in classe 36 di un marchio registrato per “l’attività di agente immobiliare, di stima di beni immobili, di locazione di appartamenti e di locali ad uso ufficio, unitamente all’amministrazione di immobili”, nonché, per la classe 37 “costruzione di edifici, riparazioni e manutenzione, unitamente a servizi di installazione. La società B era invece titolare di una registrazione per “Materiali da costruzione non metallici; tubi rigidi non metallici per la costruzione; asfalto, pece e bitume; costruzioni trasportabili non metalliche; monumenti non metallici”.