202103.22
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Con questi articoli ci proponiamo di mantenere aggiornati i nostri clienti sugli sviluppi nel settore della Proprietà Industriale in generale e della nostra struttura in particolare. Desideriamo garantire in questo modo una visione più ampia degli strumenti che il campo dei marchi, nomi a dominio, brevetti, disegni e diritti connessi offre agli imprenditori, per valorizzare e difendere il loro impegno nella ricerca e sviluppo di nuove soluzioni e idee. I contenuti di questa newsletter hanno carattere esclusivamente informativo e non costituiscono un parere legale, né possono in alcun modo considerarsi come sostitutivi di una specifica consulenza legale



È cybersquatting la registrazione abusiva di un domain name identico o simile ad un segno distintivo altrui, generalmente rinomato, con l’intento di impedirne la registrazione da parte del legittimo titolare- cosa che ha luogo perché la registrazione si perfeziona senza controlli preventivi e sulla base del principio del first come first served, con la conseguenza che il cybersquatter, che in genere è un domainer (cioè, un imprenditore la cui attività consiste nella compravendita, anche lecita di domini- si pensi, ad esempio, all’appetibilità dei domini generici), lo fa per lo più a scopo di rivendita a prezzi decisamente più alti di quelli della mera registrazione.

Il Codice della Proprietà Industriale (“CPI”) mostra consapevolezza del fenomeno.

Infatti, all’art. 22 vieta di adottare come domain name “… un segno uguale o simile all’altrui marchio se, a causa dell’identità o dell’affinità tra l’attività di impresa dei titolari di quei segni ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni” (comma 1)- divieto, che si estende al caso in cui venga adottato un nome a dominio “.... uguale o simile ad un marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, che goda nello Stato di rinomanza se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi” (comma 2). Il che è riflesso nell’art. 20 CPI che prevede anche il correlato divieto di utilizzo, oltre che, dal punto di vista processuale, negli artt. 118 e 133 CPI, che prevedono la possibilità di ottenere la revoca o il trasferimento (anche provvisorio anche caso di azione cautelare) della registrazione di un nome a dominio concessa in violazione del predetto art. 22 CPI.

Non è, quindi, un caso che la recente sentenza del Tribunale di Roma 3 febbraio 2021 n. 1937/2021 (che è il seguito di una procedura amministrativa di riassegnazione-procedura di cui tratteremo in un prossimo articolo) abbia affermato che, ...conformemente alla giurisprudenza prevalente, in tema di segni distintivi atipici, la registrazione di un "domain name" di sito internet che riproduca o contenga il marchio altrui costituisce una contraffazione del marchio poiché permette di ricollegare l'attività a quella del titolare del marchio, sfruttando la notorietà del segno e traendone, quindi, un indebito vantaggio, sicché solo il titolare di un marchio registrato potrebbe legittimamente usarlo sul proprio sito o come nome di dominio (cfr. Cass. civ. n. 4721 del 21/02/2020).

Il che, si impone a maggiore ragione quando, come nel caso ivi trattato, da un lato, il sito web associato al nome a dominio abusivamente registrato è inattivo, dall’altro e nel medesimo sito web, si trovano dei links sponsorizzati (cc.dd. links pay-per-click) riferiti alle attività del titolare del marchio notorio di cui si chiede la tutela, atteso che tale presenza è suscettibile di trarre in inganno gli utenti internet.

L’elemento di (quasi ) novità della decisione è, quindi, un altro: è il riconoscimento, da parte della stessa, che la registrazione abusiva può essere fonte di una pronuncia di risarcimento dei danni; il che parte dall’osservazione che la permanenza degli stessi links sponsorizzati genera un profitto a favore del titolare del predetto nome a dominio, derivante dallo sfruttamento del marchio anteriore (cfr. decisione WIPO del 22/5/2010, caso n. D2010-0490, Gibson, LLC v. Jeanette Valencia).

Con la conseguenza che non solo il Tribunale ha sanzionato come illegittima la registrazione del domain name posta in essere in violazione del detto CPI (disponendo l’inibitoria all’uso, delle penali di 500 euro per ogni giorno ritardo nell’osservanza dell’ordine inibitoria ed il trasferimento del domain name in contestazione, oltre che la pubblicazione della decisione nelle principali testate nazionali), ma ha altresì accolto la richiesta di risarcimento dei danni (e qui, come si diceva, sta l’elemento di novità) invocata dalla titolare dei marchi.

In particolare, il Tribunale ha riconosciuto le seguenti voci:

-il rimborso delle spese sostenute per le attività svolte al fine di ottenere in sede amministrativa la riassegnazione del nome a dominio, trattandosi di un'indubbia voce di danno emergente a carico del titolare abusivo (infatti, la causa era il seguito di un procedimento amministrativo di riassegnazione il cui esito era stato impugnato dal titolare del dominio);
- la retroversione degli utili ricavati dal titolare del dominio per effetto della formula del sito pay-per-click;
- il danno, riconosciuto in via equitativa e prudenziale, derivante dalla perdita di opportunità di rapido e diretto contatto con gli utenti interessati a raggiungere il sito web originale e dalle conseguenti negative ricadute in termini di raccolta pubblicitaria, danno di cui il Tribunale di Roma ha avuto riguardo, in considerazione della notorietà del prodotto e della rinomanza dell’omonimo marchio, liquidando, a questo titolo, la somma di 20.000 Euro attualizzata degli interessi.

Il tutto dovendosi notare pure l’affermazione secondo la quale l'accertamento della contraffazione dei marchi, utile ai fini dei conseguenti provvedimenti di contenuto inibitorio e risarcitorio, oltre che delle altre misure civili, …. non richiede anche una particolare caratterizzazione psicologica nell’autore, essendo sufficiente l’utilizzazione dei medesimi segni distintivi registrati da terzi per prodotti o servizi identici o affini ovvero di segni distintivi simili, laddove idonei a determinare un rischio di confusione.

Che sia un nuovo inizio?

Nel caso trattato nella sentenza commentato dal Tribunale di Roma, il marchio azionato era notorio. Il che, si ritiene che possa avere facilitato il giudice capitolino. Nulla toglie, però, che i principi così chiaramente e perentoriamente affermati possano essere ribaditi in casi meno chiari.

Infatti, si ritiene che soprattutto sui soggetti che si dedicano alla compravendita professionale di nomi a dominio (i cc.dd. domainers) gravi un particolare onere di diligenza e cautela al momento della registrazione, volto ad evitare che si verifichi la violazione di diritti di marchi di terzi (cfr. ex mulits, decisione NAF del 30 dicembre 2011, caso n. 1403750, Electronic Arts Inc. v. Michele Dinoia; decisione WIPO del 3 dicembre 2015, caso n. D2015-1834, Honeywell Safety Products USA, Inc. v. Michele Dinoia, Macrosten Ltd; decisione CAM del 26 settembre 2017, caso "mefa.it"). E’ dunque ragionevole presupporre che, in presenza di marchi che generano un fatturato rilevante, il domainer sappia, o per lo meno possa sapere, che la registrazione del nome a dominio è identica o confondibile al marchio anteriore del reale avente diritto.

Ed è principio costantemente affermato che l'effettiva conoscenza (o conoscibilità) dell'altrui marchio costituisce un elemento comprovante la malafede della Resistente all'atto della registrazione (cfr. ex multis, decisione WIPO del 24 febbraio 2016, caso n. D2005-1304, cit.; v. anche WIPO Jurisprudential Overview 3.0, §§ 3.2.2 e 3.2.3) che può legittimare, appunto, le richieste ex artt. 22, 20, 118 e 125 CPI, ossia, la richiesta che venga riconosciuta la registrazione in mala fede del dominio e che il suo uso sia contraffattivo del marchio anteriore, con conseguente possibile legittima sentenza di risarcimento dei danni.

Scritto dall'Avv. Carlo Sala e dall'Avv. Wilma Zanin

 


[1] attesa la presenza di una risalente pronuncia del Tribunale di Milano in analoghi termini