201611.29
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Con questi articoli ci proponiamo di mantenere aggiornati i nostri clienti sugli sviluppi nel settore della Proprietà Industriale in generale e della nostra struttura in particolare. Desideriamo garantire in questo modo una visione più ampia degli strumenti che il campo dei marchi, nomi a dominio, brevetti, disegni e diritti connessi offre agli imprenditori, per valorizzare e difendere il loro impegno nella ricerca e sviluppo di nuove soluzioni e idee.



In un mercato sempre più competitivo, è importante che le imprese tutelino adeguatamente i propri diritti di proprietà intellettuale attraverso la loro registrazione (es. marchi, brevetti, disegni e modelli). Per la tutela dei diritti di proprietà industriale tuttavia la sola registrazione, pur rappresentando il principale atto di protezione e di investimento, non è di per sé sufficiente.

Infatti, per combattere la sempre più dilagante contraffazione, è importante monitorare il mercato e reagire prontamente per contrastare chi “viola le regole del gioco”.

Uno strumento efficace per monitorare il mercato è innanzitutto quello di collaborare fattivamente con le Autorità Doganali affinché le contraffazioni possano essere bloccate ancor prima di entrare nei confini nazionali e/o dell’Unione Europea. A tale scopo, è essenziale fornire alle Autorità Doganali le informazioni necessarie sui titoli di privativa da monitorare affinché i controlli alle frontiere siano più efficaci.

In questo senso, lo strumento messo a disposizione dal legislatore è previsto dal Reg. (UE) n. 608/2013 e dal Reg. (UE) 1352/2013 (di seguito i “Regolamenti”) che prevedono la possibilità di presentare alle Autorità Doganali un’apposita istanza al fine di attivare un vero e proprio “servizio di sorveglianza”. Il servizio viene attivato a seguito della compilazione e trasmissione per via telematica: si tratta del c.d. servizio “FALSTAFF”.

Questo servizio è stato inoltre recentemente migliorato poiché, stando ad una recente nota emessa dall’agenzia delle Dogane[1], è stato rafforzato il processo di integrazione con i servizi messi a disposizione dalla piattaforma EDB (Enforcement Data Base dell’Unione Europea).

L’EDB è una banca dati che consente a dogane e forze di polizia di accedere alle informazioni che vengono caricate per poter meglio identificare i prodotti contraffatti. In particolare, da questo database vengono ricavate informazioni relative all’imballaggio, agli identificatori utilizzati per individuare i prodotti originali, alla logistica seguita per la circolazione delle merci. Il tutto per rendere più facili ed efficaci le misure di intervento delle forze di polizia e delle autorità doganali dei 28 Stati membri.

In altre parole, come indicato nella recente nota delle Agenzia delle Dogane, questa piattaforma consente ai titolari o loro rappresentanti di compilare le domande di intervento in formato bozza (“formato Pre-AFA3”).

Attraverso FALSTAFF, si potrà poi procedere al completamento delle domande Pre-AFA inviando l’istanza “AFA”. A questo punto, l’Agenzia delle Dogane provvederà ad accogliere o respingere l’istanza AFA.

Anche per questi servizi correlati all’utilizzo delle piattaforme EDB e di FALSTAFF il nostro Studio continua ad essere a disposizione dei propri clienti.

In questo caso, la diretta finalità commerciale può dirsi assente e l’uso potrebbe configurasi come uso lecito del segno altrui.

A ciò si aggiunga che la funzione tecnica primaria dell’hashtag è quella di fungere da aggregatore di contenuti, nel senso che, attraverso l’hashtag, l’utente è facilitato nella ricerca delle pagine del social network inerenti lo stesso argomento.

Anche per questa ragione, le opinioni sulla registrabilità o meno dell’hashtag non sono uniformi.

L’esigenza di procedere con la registrazione per tutelare questi segni è tuttavia molto sentita dalle aziende e nasce dal fatto che spesso i contenuti che circolano attraverso l’uso degli hashtag diventano virali e questo è certamente considerato un beneficio dalle imprese che ne fanno uso perché aumenta la loro visibilità presso il pubblico in generale. Il problema sorge però quando i concorrenti riescono ad intercettare e dirottare il traffico generato da questi contenuti verso i propri brand.

Come facilmente intuibile, i primi casi di deposito di hashtag si sono verificati negli USA[2].

Sono infatti molte le società di grandi dimensioni che hanno provveduto a depositare uno o più hashtag. Si segnalano, per esempio, i marchi #7nightstandchallenge dell’operatore T-mobile USA; #steakworthy per servizi di ristorazione; e i più noti casi #cokecanpics e #smilewithacoke di Coca Cola.

Tuttavia se, da un lato, l’USPTO (United States Patent and Trademark Office) pare incline a consentire la registrazione degli hashtag a titolo di marchio, al tempo stesso l’orientamento dei Tribunali in caso di contenzioso non è sempre favorevole a riconoscerne la validità[3].

È il caso, per esempio, di una sentenza relativamente recente emanata dalla California Central District Court che lo scorso anno ha escluso la validità della registrazione degli hashtags poiché di natura descrittiva (nel caso specifico la vertenza concerneva ’hashtag #cloudpen). [4]

E in Italia?

La normativa non prevede di per sé specifiche preclusioni alla registrabilità degli hashtag a titolo di marchio, ma l’approccio adottato dall’UIBM sembrerebbe più cauto rispetto a quello tenuto dall’USPTO sopra citato.

Ciononostante, vi sono diversi esempi di marchi contenenti il famoso cancelletto giunti a registrazione con successo e, tra questi, anche quelli di società importanti. E’ il caso dei marchi #myanalogcloud di Moleskine e #tuttolostadio di AC Milan. Tra i recenti depositi (non ancora giunto a registrazione) si annoverano anche #liveyourferraripassion di Ferrari S.p.A.

La possibilità di tutelare gli hashtag attraverso la registrazione a titolo di marchio (possibilmente prima che i contenuti diventino virali e che eventuali concorrenti possano sentirsi “liberi” di farne indebito uso) non va quindi sottovalutata.

[1] La nota del 18 ottobre 2016 (prot. N. 1162727)

[2] Come riportato da un rapporto Thomson Reuters “CanWeTrademarkIt?#” nel quinquennio 2010 – 2015 sono state depositate quasi 2.900 domande di marchio contenenti il simbolo dell’hashtag.  

[3] Anche l’USPTO, come ben comprensibile, respinge invece quelle domande di marchio costituite dal simbolo “cancelletto” seguite da parole di carattere descrittivo. Per esempio, è stato escluso dalla registrazione il marchio #PINUPGIRLCLOTHING per abbigliamento vintage femminile.

[4] Eksouzan v Albanese, No. CV 13-00728 –PSG – MAN (C.D. CAI Aug. 7, 2015). Con questa decisione, la Corte ha ritenuto che il simbolo ‘#’ o la parola “HASHTAG” sia registrabile solo se in grado di svolgere la sua propria funzione di segno identificativo della fonte di origine del prodotto o servizio contraddistinto. Ma generalmente ciò non accade per questo simbolo perché la sua aggiunta svolge la mera funzione di aggregatore di contenuti e strumento di ricerca all’interno della piattaforma del social network utilizzato.